AUTORESPIRATORE AD ARIA PIRELLI TRICHECO

Maurizio Baldinucci

Una delle prime unità SCUBA sviluppata in Italia partendo da idee originali e soluzioni tecniche che non seguissero in qualche modo lo schema dell’autorespiratore Cousteau-Gagnan CG-45, è stata il modello “Tricheco” (Walrus in inglese) brevettato da Roberto Galeazzi Junior e prodotto e distribuito dalla Pirelli, azienda oggi molto più conosciuta come produttrice di pneumatici.
Prima di addentrarci nell’analisi tecnica di questo particolare autorespiratore, che è probabilmente uno dei modelli più rari e sconosciuti al pubblico degli appassionati di storia delle attrezzature per l’immersione subacquea, vale la pena di ricordare brevemente la storia dell’inventore di questo apparecchio Roberto Galeazzi Junior. Nato a Torino nel 1911 è il figlio di Roberto Galeazzi Senior, nato a Livorno nel 1882 e fondatore della celebre azienda “Roberto Galeazzi” con sede a La Spezia. L’azienda, fondata nel 1930 a La Spezia e infine confluita nella DRASS negli anni ’80 con sede a Livorno, ebbe il suo momento di massima notorietà agli inizi degli anni ‘30 grazie al recupero, ad opera dei palombari della nave “Artiglio”, del tesoro dalla nave “Egypt”, affondata nel canale della Manica con il suo carico di lingotti d’oro e di argento. Grazie a questa impresa il nome Galeazzi assunse una risonanza mondiale in quanto la speciale torretta butoscopica, ideata da Alberto Gianni capo palombaro dell’Artiglio per coordinare le operazioni di recupero con osservazione diretta alla stessa profondità del relitto, fu ingegnerizzata e costruita da Roberto Galeazzi Senior. In quasi mezzo secolo di attività la ditta Galeazzi progettò e costruì un numero impressionante di attrezzature destinate principalmente al lavoro subacqueo tra cui scafandri articolati per grandi profondità, camere iperbariche ma anche elmi e attrezzature complete da palombaro. L’azienda fu, per diversi decenni, anche una delle fornitrici principali della Marina Militare Italiana ma esportò i suoi prodotti anche in molte parti del mondo. Galeazzi padre e figlio (vedi la Figura 1 che mostra padre e figlio di fronte ad uno dei loro scafandri articolati per grandi profondità) furono soprattutto dei grandi inventori ed ingegneri con diverse decine di brevetti depositati nei principali paesi del mondo.

xxx

fig. 1

Anche se la ditta Galeazzi si rivolgeva principalmente al mercato della subacquea commerciale, Roberto Galeazzi Junior fu sempre attratto dalle prospettive di affari provenienti dal nascente mercato della subacquea sportiva e ricreativa anche se questo, tra la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50, stava compiendo ancora i primi passi in Italia. Il primo tentativo in questa direzione venne fatto con lo “SLIP” un sistema di respirazione a bassa profondità alimentato dalla superficie mediante pompa manuale. Il “cuore” del sistema, che comunque fu coperto da brevetto sia in Italia che negli USA, era lo speciale serbatoio d’aria aperto alla base e provvisto di sospensione cardanica su due assi perpendicolari tra loro (vedi Figura 2 e Figura 3).

xx

fig. 2

xx

fig. 3

Questo dispositivo, brevettato da Galeazzi nel 1949, consentiva di immagazzinare una quantità di aria disponibile alla respirazione del subacqueo ed alla stessa pressione dell’ambiente, indipendentemente dall’inclinazione longitudinale e laterale del corpo del subacqueo. L’apparecchio, che venne impiegato tra gli altri dal giornalista, esploratore e scrittore Lino Pellegrini durante le sue immersioni alle isole Canarie (vedi Figura 4 e Figura 5), ambiente totalmente vergine a quell’epoca e descritte nel suo famoso libro “Sub, Il Libro degli Abissi” del 1957, non ebbe un grande successo commerciale soprattutto perché richiedeva l’assistenza continua in superficie di un operatore disposto a sobbarcarsi l’onere di pompare durante tutta la durata dell’immersione, esigenza questa non compatibile con un impiego sportivo-ricreativo.
Uno dei tentativi successivi di posizionamento nel mercato sportivo da parte della Galeazzi fu fatto proprio con il modello “Tricheco”, progetto che vide la luce nel 1955, lo stesso anno nel quale nasceva il Mistral de La Spirotechnique, modello che avrebbe sbaragliato la maggior parte della concorrenza negli anni successivi. Tuttavia, per avere delle possibilità commerciali più ampie, rispetto a quelle che poteva garantirgli la distribuzione in proprio, Galeazzi strinse un accordo con la Pirelli di Milano un’azienda che aveva all’epoca una sua linea consolidata di fabbricazione, produzione e vendita di materiali per gli sport acquatici (battelli e materassi pneumatici, maschere, pinne, mute, autorespiratori ad ossigeno, fucili subacquei, accessori per l’immersione, ecc.). Questa linea di prodotti faceva riferimento alla sede di Seregno nei pressi di Milano. La Pirelli in quegli anni era una delle pochissime aziende italiane attive in quel settore di mercato insieme alla Cressi di Genova e alla Salvas di Roma. Questo autorespiratore viene quindi inserito nel catalogo Pirelli (vedi Figura 6 e Figura 7) insieme ai vari modelli di A.R.O. e, a partire dal 1960, anche all’altro famoso autorespiratore ad aria a parziale ricircolo di gas, l’Explorer.

xx

fig. 4

xx

fig. 5

xx

fig. 6

xx

fig. 7

Questo autorespiratore poteva essere venduto con una o due bombole e con o senza l'apposito dispositivo automatico di riserva che era dotato di un bullone di regolazione della pressione limite e di un pulsante di attivazione della riserva stessa. Il riduttore di pressione del primo stadio era contenuto nel cilindro di piccolo diametro installato sul fianco delle bombole.
Il “Tricheco” (vedi Figura 8) era basato su un primo stadio di riduzione della pressione in grado di produrre una pressione intermedia molto bassa (circa 1-2 bar superiore rispetto alla pressione ambiente come si legge nella descrizione del brevetto USA) e su una maschera granfacciale che includeva un secondo stadio con valvola di erogazione a domanda, installata sulla estremità inferiore della maschera.

xx

fig. 8

Le caratteristiche specifiche di questa maschera consistevano nel vetro frontale, che fungeva anche da membrana di azionamento della valvola di erogazione a domanda (una soluzione simile utilizzata anni dopo nella maschera Scubapro “Visionaire” progettata dallo statunitense Charles Hubbel Hawley) e nei tipici cappucci in gomma per lo scarico dell'aria espirata. Questi cappucci erano installati uno per ogni lato della valvola di erogazione e ricordavano i denti del tricheco (e questo è il motivo del nome caratteristico scelto per questo apparecchio). Secondo le intenzioni del progettista, i piccoli fori praticati sulla maggior parte delle superfici di questi cappucci in gomma, avrebbero dovuto ridurre le dimensioni delle bolle d'aria di scarico e la relativa rumorosità. Per quanto riguarda la soluzione del vetro frontale che fungeva da membrana della valvola di erogazione a domanda del secondo stadio, questa non era del tutto originale in sé, visto che era stata impiegata anche in brevetti precedenti, tuttavia Galeazzi rivendicava il cinematismo di collegamento e di rotazione al corpo in gomma della maschera che, a suo parere, rendeva molto più efficace la soluzione in relazione alle prestazioni della valvola di erogazione. Nonostante il fatto che i componenti principali di questo dispositivo siano stati brevettati anche negli USA con richieste di brevetto depositate a partire dal 1955 (vedi foto relative in questo post), non ho trovato traccia di alcun esemplare di Tricheco venduto o distribuito in Nord America (diversa sorte rispetto al fratello Explorer che venne effettivamente distribuito in quegli anni negli USA, purtroppo senza molto successo). Il funzionamento meccanico di questo apparecchio si può facilmente desumere osservando la Fig.7 e la Fig.8, contenute nel brevetto US2,882,895 (depositato il 25 Settembre 1956 e concesso il 21 Aprile 1959) e la Fig.3, contenuta nel brevetto US2,874,692 (depositato il 14 Settembre 1955 e concesso il 24 Febbraio 1959) (vedi Figura 9 e Figura 10).

xx

fig. 9

xx

fig. 10

Il vetro della maschera granfacciale è montato su una specie di soffietto in gomma che fa parte integrante del corpo della maschera. Il soffietto è molto più flessibile nella parte superiore della maschera rispetto alla parte inferiore di questa. L’inspirazione da parte del subacqueo provoca così un movimento rotatorio non soltanto del vetro ma anche del telaio di questo e del corpo esterno della valvola di erogazione a domanda. La maschera è dotata anche di un elemento meccanico che risulta invece fisso durante le fasi di respirazione. Questo elemento è costituito da un telaietto in acciaio inox di forma semi circolare collegato in alto al corpo in gomma della maschera in una zona molto vicina alla fronte del subacqueo e quindi virtualmente insensibile ai movimenti del soffietto. Nella zona inferiore lo stesso telaietto termina con un elemento metallico disposto assialmente al corpo esterno della valvola a domanda ed anch’esso fisso ed insensibile ai movimenti rotatori del corpo esterno della maschera. La rotazione del corpo esterno della valvola durante la fase di inspirazione, porta lo stelo della valvola di erogazione di tipo “upstream” a contatto con l’elemento fisso centrale innescando così l’erogazione. Durante la fase di espirazione la rotazione si inverte e la valvola di erogazione si richiude. Allo stesso tempo l’aria espirata viene scaricata attraverso le due valvole laterali unidirezionali mostrate nella Fig.8 e successivamente attraverso i forellini ricavati sulle superfici dei terminali di scarico in gomma. Un’altra curiosità relativa all’impiego di questo apparecchio e visibile dai particolari della Fig.7 è la seguente: quando il subacqueo nuotava in superficie e respirava attraverso lo snorkel in configurazione completamente estesa, era necessario innestare uno speciale blocco meccanico (item 323) nella parte superiore della maschera per evitare che il vetro frontale della maschera si muovesse durante la fase di inspirazione e producesse un flusso d'aria non richiesto dal secondo stadio.
Il funzionamento della valvola di riduzione del primo stadio è illustrato nella Fig.3 suddetta. Si tratta di uno stadio di riduzione della pressione di tipo “downstream” a membrana con elemento di tenuta conico non bilanciato. Vista la pressione a valle molto bassa (1-2 bar sopra la pressione ambiente) e l’effetto di caduta di pressione lungo il tubo che porta l’aria alla valvola di erogazione del secondo stadio, il progettista ha dovuto inserire a valle del riduttore un serbatoio di accumulo dell’aria (il caratteristico cilindro coassiale alle bombole dell’autorespiratore) per impedire che ci fossero delle interruzioni del flusso d’aria durante la fase di inspirazione.
La parte più difficile nella scrittura di questo articolo è stata quella di reperire qualche esemplare di questo autorespiratore da fotografare, arricchendo così la scarsissima documentazione fotografica disponibile e potendo fornire anche quei particolari costruttivi che non erano altrimenti visibili. Infatti, al di là dei cataloghi Pirelli, le uniche foto disponibili di un esemplare fisico di questo autorespiratore erano quelle scattate nel 2009 a Firenze dall’amico giornalista e collezionista Luigi Fabbri il quale aveva avuto la possibilità di visionare e fotografare la vasta collezione di attrezzature subacquee di Giuliano Miniati, uno dei pionieri toscani della subacquea che operò a Firenze e dintorni fin dalla fine degli anni ’50. Non a caso alcune foto usate in questo articolo e gentilmente concesse da Luigi, si riferiscono proprio all’esemplare della collezione Miniati. Luigi aveva già parlato di questo rarissimo autorespiratore in alcuni dei suoi passati articoli apparsi in alcune riviste dedicate alla storia della subacquea e lo aveva anche catalogato nel suo ormai famoso sito dedicato alla storia dell’immersione Scuba www.blutimescubahistory.com.
Al di là di questo esemplare, in tanti anni di ricerche non avevo individuato altri possessori di Tricheco sia in Italia che nel resto del mondo. Poi improvvisamente, qualche mese fa, la situazione è cambiata drasticamente. Intanto, per un vero colpo di fortuna, sono venuto in contatto di un collezionista portoghese che, per ragioni personali, aveva deciso di vendere tutta la propria collezione di erogatori subacquei a doppio tubo. Tra le foto che stavo controllando per individuare i pezzi da acquistare per la mia collezione, ce n’erano alcune che catturarono subito la mia attenzione (vedi Figura 11 e Figura 12).

xx

fig. 11

xx

fig. 12

Finalmente anch’io avevo trovato un Tricheco! Purtroppo, l’autorespiratore non era completo in quanto mancavano bombole ed imbrago ma tutto il resto c’era anche se in condizioni apparentemente disastrose. Fortunatamente, dopo averlo ricevuto, ho notato che la maschera granfacciale, apparentemente in pessime condizioni, era invece ben conservata con la gomma in gran parte integra e che quindi poteva essere riportata ad un livello buono dopo qualche operazione di pulizia e di restauro. La parte più complicata del restauro è stata quella della ricostruzione dello speciale snorkel ripiegabile che mancava nell’esemplare che avevo acquistato. Questo elemento è stato ricostruito sulla base delle poche foto disponibili di esemplari dotati del componente originale. Dopo questo lavoro di pulizia e di restauro il mio Tricheco è stato riportato in condizioni accettabili ed inserito nella mia esposizione di attrezzature subacquee vintage (vedi Figura 13, Figura 14, Figura 15 e Figura 16).

xx

fig. 13

xx

fig. 14

xx

fig. 15

xx

fig. 16

A seguito di questo restauro pubblicai un post su uno dei gruppi social dedicato all’immersione vintage e, tra coloro che inserirono commenti, scoprii anche due collezionisti che possedevano esemplari completi di Tricheco. Il primo di questi, Cesare Valle di Roma, possiede un esemplare monobombola di colore giallo con maschera granfacciale un po' deteriorata ma ancora provvista dello snorkel originale (vedi Figura 17 e Figura 18).

xx

fig. 17

xx

fig. 18

Il secondo, Angelo Silvestri di Latina, dispone di un bibombola celeste in condizioni pressocché perfette ed ancora provvisto della scatola in legno originale che veniva impiegata per stivare e trasportare questo autorespiratore (vedi Figura 19 e Figura 20).

xx

fig. 19

xx

fig. 20

Ringrazio sentitamente questi due collezionisti per la loro disponibilità e gentilezza nel fornirmi tutte le foto e le informazioni in loro possesso che mi hanno permesso di scrivere questo articolo. Anche grazie al loro importante contributo sarà possibile trasmettere alle nuove generazioni di appassionati di immersioni la conoscenza anche di questo autorespiratore, salvandolo così dall’oblio nel quale sembrava essere ormai inevitabilmente destinato.
Le foto dei due amici collezionisti hanno permesso di chiarire alcuni importanti aspetti progettuali e costruttivi di questo apparecchio. Cominciando dalle bombole ad aria compressa, osservando i dati stampigliati sull’ogiva di queste (vedi Figura 21 e Figura 22), possiamo risalire alle seguenti informazioni:

  • Il produttore di queste bombole era la Dalmine, probabilmente la più importante acciaieria italiana del tempo. Queste bombole erano le prime in assoluto progettate e costruite specificatamente per l’immersione subacquea ed aventi un volume consono ai requisiti di autonomia di cui i nuovi autorespiratori ad aria necessitavano. Fino alla metà degli anni ’50 infatti, le sole bombole disponibili in Italia e capaci di lavorare a pressioni sufficienti erano quelle impiegate nei sistemi di respirazione ad ossigeno degli aerei militari. Il problema di queste bombole era il volume che era intorno ai 2 litri, volume idoneo per gli apparecchi ad ossigeno a circuito chiuso (A.R.O.) ma non per le unità Scuba ad aria compressa.

  • L’altra importante informazione stampigliata sull’ogiva di queste bombole è la pressione di lavoro che risulta essere di 200 kg/cmq, un valore decisamente elevato per quei tempi quando la maggior parte delle bombole disponibili potevano lavorare a pressioni decisamente più basse (normalmente 150 kg/cmq).

  • Il volume interno era di 12,7 litri, una misura diversa rispetto a quella degli standard di oggi ed il peso era di 13,5 kg del tutto in linea con quello delle bombole moderne.

xx

fig. 21

xx

fig. 22

I dettagli costruttivi del telaio metallico porta-bombole sono visibili nella Figura 23 e nella Figura 24.
Si tratta di un telaio ottenuto tagliando, piegando e saldando barre e piatti di acciaio, mediante un processo che sembra completamente di tipo manuale ed artigianale. Non trattandosi di acciaio inox, la protezione ambientale di questo telaio veniva assicurata mediante trattamento di verniciatura, esattamente come per le bombole. Questo telaio comprendeva anche la struttura di fissaggio del riduttore di pressione del primo stadio comprensivo di cilindro di accumulo dell’aria a bassa pressione. L’imbragatura tessile era infine montata sul telaio porta-bombole e fissata tramite rivetti metallici.
Rispetto alle attuali piastre di fissaggio e relative fasce in inox o alluminio che assicurano saldamente le bombole alla struttura portante in modo da evitare ogni movimento delle bombole stesse qualsiasi siano le sollecitazioni e gli urti applicati, questo telaio funzionava come una sorta di cesto all’interno del quale le bombole erano infilate e appoggiate in corrispondenza della rubinetteria posta in basso. Le piccole fasce dotate di bulloni che servivano ad evitare movimenti assiali delle bombole avevano una funzione strutturale del tutto secondaria.
La rubinetteria e lo speciale dispositivo di riserva sono illustrati in dettaglio nella Figura 25 e nella Figura 26, sia per la versione monobombola che per la versione bibombola.
I collegamenti pneumatici tra i vari elementi della rubinetteria erano costituiti da tubi meccanici in ottone, piegati e saldobrasati, tecnica impiegata anche nelle rubinetterie delle prime unità Scuba Cousteau-Gagnan della seconda metà degli anni ’40. Considerando la posizione di queste rubinetterie, disposte nella parte inferiore della schiena del subacqueo per una migliore accessibilità delle manopole e del dispositivo di riserva (vedi Figura 27), alcune aree della rubinetteria potevano essere facilmente danneggiate da urti o contatti durante l’immersione e le fasi di movimentazione dell’autorespiratore.
I punti più critici erano le aree di collegamento saldobrasate tra i tubi meccanici ed il corpo degli altri componenti. Dalle foto qui sopra si può notare che, tra un esemplare e l’altro, la zona di connessione tra il dispositivo di riserva e il tubo meccanico saldobrasato, è stata implementata una modifica per irrobustire la zona in questione evitando così il pericolo di criccatura del cordone di saldatura (ben visibile sul dispositivo ante-modifica).

xx

fig. 23

xx

fig. 24

xx

fig. 25

xx

fig. 26

xx

fig. 27

Le targhette di identificazione dell’autorespiratore erano applicate in corrispondenza delle fascette di serraggio delle bombole o del serbatoio cilindrico primo stadio come si può vedere nella Figura 28 e nella Figura 29.
Queste targhette erano sprovviste di numero seriale dell’unità ma riportavano l’indicazione della sede di Seregno e di entrambi i marchi Pirelli e Galeazzi.
Un altro elemento caratteristico di questo apparecchio è lo speciale raccordo di connessione rapida montato sul tubo di collegamento tra il primo ed il secondo stadio (vedi Figura 30 e Figura 31). Questo componente rendeva più semplici le operazioni di preparazione all’immersione ma anche il trasporto e lo stivaggio dell’autorespiratore, consentendo di gestire la maschera granfacciale separatamente da bombole ed imbrago.
Anche altri componenti di questo autorespiratore erano basati su soluzioni tecniche piuttosto approssimative e discutibili. Uno di questi era indubbiamente lo snorkel ripiegabile (vedi le Figura 32 e la Figura 33 che mostrano lo snorkel in posizione sia estesa che ripiegata). Il fatto che questo dispositivo era mancante sia nell’esemplare che avevo acquistato in Portogallo che in quello di Angelo Silvestri, mi ha confermato il dubbio che avevo osservando quello ancora esistente nell’esemplare di Cesare Valle. E cioè il raccordo a gomito in plastica che collegava lo snorkel al corpo in gomma della maschera granfacciale, sembrava avere un labbro di tenuta sul lato esterno della maschera poco più largo del foro sul corpo in gomma.
Questa caratteristica avrebbe potuto rendere questo collegamento precario con il rischio di allagare la maschera quando lo snorkel subiva qualche sollecitazione. Inoltre, pensare di sigillare lo snorkel dall’ingresso dell’acqua semplicemente piegandolo e tenendolo in quella posizione durante l’immersione sembrava una soluzione sicuramente molto semplice ma del tutto velleitaria, senza considerare la probabile memoria di forma che il tubo avrebbe mostrato dopo qualche manovra di piegatura e successiva raddrizzatura. Pertanto, possiamo ipotizzare che gli utilizzatori di questo apparecchio, abbiano in qualche caso eliminato completamento questo dispositivo e tappato in qualche modo il foro sul corpo della maschera granfacciale.
Chiudiamo le critiche tecniche a questo autorespiratore osservando il circuito pneumatico di funzionamento dello stesso. Normalmente, negli erogatori con secondo stadio provvisto di valvola “upstream” come nel caso del Tricheco, viene aggiunta una valvola di massima pressione tra il primo ed il secondo stadio la cui funzione è quella di limitare la pressione tra questi due stadi quando il primo stadio non riesce a garantire la perfetta tenuta pneumatica. Questa valvola impedisce così che il circuito a bassa pressione subisca delle sovra-pressurizzazioni con il rischio di pericolose rotture ed esplosioni. Nel Tricheco questa valvola è inesistente per cui si può immaginare che, in caso di avaria la rottura poteva interessare il tubo in gomma posto tra il primo ed il secondo stadio che avrebbe potuto semplicemente sfilarsi dalle fascette metalliche.

xx

fig. 28

xx

fig.29

xx

fig. 30

xx

fig. 31

Quali sono le ragioni per cui il Tricheco è così raro rispetto ad altri apparecchi simili distribuiti nello stesso periodo? Naturalmente possiamo fare soltanto delle ipotesi a riguardo, sperando che queste siano le più logiche e ragionevoli possibili. Il motivo principale di questa estrema rarità è probabilmente dovuto alle scarse prestazioni di questo apparecchio rispetto ai tipici modelli a doppio tubo che avevano iniziato a diffondersi presso la comunità dei subacquei italiani dalla metà degli anni '50 in poi (soprattutto gli erogatori Mistral).

xx

fig. 32

xx

fig. 33

Queste scarse prestazioni soprattutto in termini di durezza di respirazione e di difficoltà di compensazione, ci sono state confermate da Angelo Silvestri di Latina il quale ha realmente impiegato questo apparecchio durante la sua gioventù. Anche lo scarico dell’aria espirata attraverso i baffi in gomma traforata era abbastanza fastidioso. La durezza di respirazione può essere facilmente spiegata dalla bassissima pressione a valle del primo stadio che non era sufficiente ad alimentare efficacemente la valvola di erogazione del secondo stadio, soprattutto alle maggiori profondità. Ricordiamo poi che il famoso effetto “Venturi” che sarebbe stato introdotto per primo dal Mistral, non era disponibile e quindi lo sforzo inspiratorio del Tricheco restava notevole in tutte le condizioni. Se si osserva il primo stadio dell’esemplare che ho acquistato in portogallo, si può notare che questo è sprovvisto del corpo cilindrico tipico del primo stadio originario (vedi Figura 34 e Figura 35).

xx

fig. 34

xx

fig. 35

Posso dedurre che questa soluzione sia stata introdotta proprio nel tentativo di risolvere o migliorare il problema della durezza della respirazione mediante l’aumento della pressione di taratura del primo stadio, soluzione che tra l’altro consentiva di eliminare l’ingombrante e costoso cilindro di accumulo dell’aria a bassa pressione. Finora non sono stato in grado di trovare alcun riferimento documentale su questa diversa versione di primo stadio.
Anche la compensazione non era all’altezza delle ultime soluzioni disponibili sul mercato, soluzioni tra le quali spiccava la maschera Pinocchio inventata da Luigi Ferraro per la Cressi nel 1952 che consentiva di semplificare al massimo la manovra di compensazione. Con la maschera Tricheco si doveva impiegare la fastidiosa “molletta stringinaso” o compensare con manovre alternative e dalla dubbia efficacia. Un ulteriore e decisivo elemento da considerare fu poi il prezzo di questo apparecchio che, a giudicare dai valori mostrati nei cataloghi Pirelli, era più del doppio di quello di un autorespiratore ad ossigeno, dispositivo assai diffuso in quegli anni, vista anche la scarsa disponibilità dei nuovi autorespiratori ad aria e che spesso era usato per la pesca subacquea. Tali limiti di prestazione ed il prezzo elevato determinarono numeri di vendita molto bassi e di conseguenza influirono sul numero di esemplari che sono ancora oggi in circolazione. Aggiungiamo anche che questo tipo di apparecchio, essendo basato su molti importanti componenti costruiti in gomma naturale, era inevitabilmente molto sensibile al deterioramento di questi componenti che mostravano segni di invecchiamento e carbonizzazione già dopo pochi anni di servizio rendendo di fatto necessaria la rottamazione dell’unità.  Tutti questi motivi e nonostante questa unità subacquea sia rimasta nei cataloghi Pirelli per più di 10 anni, dalla metà degli anni '50 alla metà degli anni '60, spiegano perché pochissime persone in Italia e nel mondo conoscono questo apparecchio.
Questo articolo è un altro mio piccolo contributo alla conoscenza di quegli anni meravigliosi ed indimenticabile di storia della subacquea nonché alla conservazione della memoria di un altro piccolo capolavoro del genio e dell’inventiva dei grandi pionieri di quell’epoca.

_______________