L'ORIGINE DELLE COSE

Luigi Fabbri

 

Spesso ci chiedono di raccontare l'origine delle cose, come è nata l'una o l'altra attrezzatura subacquea, chi l'ha inventata, dove e soprattutto quando. Domande interessanti e risposte non sempre facili, se non altro perché spesso quanto risulta non corrisponde a ciò che credavamo, o non soddisfa quel certo orgoglioso sciovinismo da cui pochi sono immuni. Le barzellette un tempo raccontavano che in Urss ogni cosa importante era stata inventata da un inevitabile Popov: la radio? Popov; il radar? Popov; la penicillina? Popov; l'automobile? Popov, ecc. E ancora oggi se si chiede in Usa dove è nata la subacquea ci si sente immancabilmente rispondere in Calfornia, oppure in Florida. Se ribattete che è nata in Europa vari anni prima che se ne vedesse traccia su quelle spiagge mitiche rischiate di essere guardati con sospetto.

Cominciamo con le attrezzature più note, pinne e maschere. Le pinne, lasciando da parte poco efficienti stranezze di tempi anche decisamente lontani, sono nate quando il francese De Corlieu ha pensato bene di costruirle utilizzando un materiale piuttosto recente, la gomma vulcanizzata, brevettandole nel 1933. Prima della fine di quel decennio concesse la licenza di produzione negli Stati Uniti alla ditta Churchill, che le mise sul quel mercato col proprio marchio.  La maschera è succeduta agli occhialetti (googles in inglese) di origine polinesiana, con i quali ci si vedeva malissimo non essendo complanari. L'ha concepita nel 1935 il francese Alec Kramarenco di lontane origini russe, realizzandola a vetro unico ("monogoogle") con il facciale in gomma. Lasciava fuori il naso come gli occhialetti, per cui non si poteva compensarla e scendendo faceva sempre più male, finchè Raymond Pulvenis nel "38 ebbe l'idea di applicarle quelle perette laterali di autocompensazione già usate sugli occhialetti delle pescatrici Ama. Tre anni più tardi fu lo scandinavo Maxime Forjod, a quanto pare, a farla crescere di misura fino a comprendere il naso, in modo da poterci soffiare dentro eliminando le perette. Ma rendendo di conseguenza indispensabile lo stringinaso per riuscire a compensare le orecchie.
A perfezionare i due attrezzi ci ha pensato il duo italiano Cressi-Ferraro, trasformando nel 1951 le pinnette a cinghiolo fisso nelle fantastiche Rondine a scarpetta intera e pala inclinata, poi convertendo l'anno successivo la maschera ovale o tonda nell'altrettanto fantastica Pinocchio, con la quale finalmente era finita la tortura dello stringinaso.

Il fucile, attrezzo essenziale per il 99% dei sub dei primi decenni, è opera anch'esso di Kramarenco: una molla che, inserendo la freccia, si comprimeva in un lungo tubo di metallo munito di impugnatura e grilletto. Era il 1937 e già l'anno dopo ne veniva ceduta la licenza in vari paesi, tra cul l'Italia dove iniziò a produrlo il genovese Malagamba. Un altro francese, Pelletier, prese una direzione diversa progettando e costruendo per primo un'arma molto potente alimentata dalla CO2 contenuta nel serbatoio posteriore. Un gas perfettamente adatto allo scopo, in quanto passa allo stato liquido ad una pressione inferiore ai 60 bar risultando facilmente stoccabile e travasabile. Nella rincorsa alla potenza ad averla vinta sono stati però i fucili a cartuccia esplosiva con freccia a reazione. Derivati evidentemente dai lanciarpioni per la caccia dalla barca e originati non è chiaro da chi o dove, nel 1954 hanno avuto nei modelli della Mordem di Demetrio Morabito la loro interpretazione più affascinante. Il fucile pneumatico lo aveva invece brevettato René Salles già nel 1944 e tanto per non lasciare dubbi sul suo funzionamento lo aveva messo in vendita nel "48 col nome "Pneumatique".

Per quanto riguarda le macchine fotografiche, tutti sappiamo che a portarne una sott'acqua fu per primo Louis Boutan nel 1893. A rendere popolare la fotosub sono state invece le Nikonos della giapponese Nikon, però anch'esse di origine francese in quanto nate Calypso Spirotechnique.

Per ripararsi dal freddo, fino a poco dopo il 1950 ci si vestiva con mute stagne in tela gommata, prive di valvole in quanto doveva ancora venire a qualcuno l'idea geniale di immettervi aria per compensarle. Di conseguenza, scendendo le loro pieghe diventavano rigide e si piantavano nella pelle piacevoli come cilici, tortura solo di poco alleviata dai pesanti sottomuta in lana grossa simili a quelli degli antenati palombari. Il primo cambiamento radicale lo portò il neoprene espanso, materiale inventato in America da Hugh Bradner nel 1951 e subito dopo utilizzato dalla Spirotechnique per la prima muta umida al mondo. Difficile dire chi abbinò il concetto di stagna al neoprene ed alle valvole di carico e scarico dell'aria prelevata dalla bombola, probabilmente fu la svedese Poseidon nel 1969 con la Unisuit, laboriosa da indossare e pesantissima ma tale da consentire lunghe immersioni al calduccio anche nei mari del nord o nei laghi ghiacciati.

Tornando indietro di trent'anni incontriamo l'Aro, un apparecchio già inventato nel 1878 dall'inglese Henry Fleuss e reso funzionale dal conterraneo Robert Davis nel 1911 quale mezzo di emergenza per scapolarsela da un sommegibile in avaria sul fondo, poi fu la Dräger tedesca a metterlo in commercio nel "22. Tuttavia, a rendere pratico l'apparecchio per utilizzarlo per la respirazione nell'immersione autonoma fu l'italiana Iac, prima fornitrice di Aro della Regia Marina italiana per le esigenza degli incursori dei "maiali".
L'Ara invece, inteso nel senso moderno di autorespiratore autonomo a richiamo d'aria, è ovviamente attribuito a Cousteau che brevettò nel 1945 il suo erogatore CG45 a due tubi progettato insieme all'ing. Gagnan. Ad essere precisi fu preceduto da un altro francese, lo sfortunatissimo Commeinhes che aveva brevettato il suo GC42 nel 1942, subito accettato dai militari. Era dotato di granfacciale al quale facevano capo i corrugati, al contrario del modello di Cousteau munito di un semplice boccaglio. Sennonché Commeinhes ci rimise la pelle un paio d'anni dopo in una delle tante battaglie in Normandia, lasciando senza concorrenza il Comandante. Il quale un po' maliziosamente aveva adottato una denominazione molto simile per il proprio apparecchio. L'uno e l'altro in effetti non erano novità assolute, meglio definibili come grandiose evoluzioni del Roqueirol-Denayrouze a flusso continuo del 1864, perfezionato e adattato all'uso sub dall'ennesimo francese Yves Le Prieur nel 1934, funzionante ed effettivamente utilizzato in alcuni lavori di recupero su relitti.
Dopo tanti passaggi storici, nel 1952 l'erogatore decide di farsi piccolo, così l'australiano Ted Eldred si inventa di farne uno con un solo tubo tipo frusta e due stadi separati: nasce il Porpoise, commercializzato in Australia e in Usa dalla Breathing Appliance Company. I francesi sono battuti, infatti il bistadio a un tubo Cristal della Spirotechnique è datato svariati mesi dopo.

I modernissimi rebreathers elettronici, che stanno pian piano portando la subacquea a livelli operativi impensabili meno di vent'anni fa, hanno in realtà origini lontane. Era il 1912 quando la Dräger presentò il primo autorespiratore a miscela 30% ossigeno 70% azoto, in pratica un circuito semichiuso alimentato a Nitrox. L'inaffidabilità degli assorbenti di CO2 fino all'arrivo della calce sodata negli anni "30, poi la mancanza di strumentazione idonea per tenere sotto controllo la ppO2, rallentarono lo svilutto di tali apparecchi, che dovettero attendere gli anni tra il 1980 e il 1990 per iniziare la loro corsa al futuro. Concretizzatasi col primo Ccr di buon successo commerciale, l'inglese Buddy Inspiration della Ambient Pressure lanciato a fine anni "90.

Passando ai veicoli sub non è dato sapere chi ha dato il via all'infinita serie di alianti e di ali subacquee trainate dalla superficie degli anni 1950-1970, né a chi attribuire la paternità dei vari veicoli a propulsione autonoma grandi e piccoli da cavalcare o sui quali stare distesi, spesso fantasiosi, ispirati ai "maiali" italiani.
Per gli scooter invece sembra inevitabile tornare in Francia, dove Cousteau imbarcò nel 1951 sulla nuovissima Calypso in partenza per il Mar Rosso una coppia di enormi mezzi elettrici. Avevano una discreta automomia e velocità, si guidavano tramite lunghi manubri ed erano anche armati con fucili Pelletier a CO2 anti-squalo.

Con ll decompressimetro analogico arriviamo a un'invenzione italiana. Presentato da De Sanctis e Alinari della Sos di Torino all'assemblea Cmas tenutasi a Barcellona nel 1959, è passato in tempi rapidissimi dalla diffidenza al boom commerciale, quasi subito presente in ogni parte del mondo marcato con i nomi delle diverse aziende che lo richiedevano alla piccola ditta torinese. Uno strumento che ha bruciato i lunghi tentativi di realizzare qualcosa di simile da parte di svariate aziende statunitensi, finiti tutti nel nulla. Il decompressimetro nei suoi sei modelli ha dettato legge per oltre due decenni, scalzato a quel punto dagli innovativi computer sub elettronici. Anche qui gran botta per il made in Usa, impegnatissimo nelle ricerche su questo fronte e battuto sul filo di lana da una minuscola entità svizzera, la DiveTronic che sul finire del 1982 presentò il Deco Brain firmato Hans Hass, come dire un nome una garanzia. Quasi un anno dopo arrivò il The Edge della Orca Industries americana, decisamente meno performante e ribattezzato The Brik (il mattone) da un giornalista tecnico buontempone, che consigliava a chi non se ne fidava di acquistarlo comunque potendo trasformarsi in un valido ferma-porte.

Uscendo dal settore attrezzature, in campo subacqueo ci sono altri primati che hanno sempre fatto discutere. Tra le riviste specializzate la palma spetta a The Skin Diver, fondata nel 1951 e diventata Skin Diver Magazine. L'ha seguita l'italiana Mondo Sommerso, il cui numero 1 è del luglio 1959.
Analoga classifica per le didattiche. La prima scuola subacquea ufficiale è stata la californiana Uicc nata nel 1953, per la cronaca precedendo di poco l'istituzione in Italia nel 1954 del centro federale di Nervi e dei corsi federali. Dalla Uicc dopo varie trasformazione prenderà vita la Naui.

Forse c'è dell'altro di cui meriterebbe valutare il primato di paternità, comunque le cose principali le abbiamo elencate. Se ci sono errori o qualche omissione importante preghiamo vivamente il lettore di segnalarcelo.

Aprile 2017

 

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